Con la fine della seconda guerra mondiale in Alto Adige predominarono le spinte secessioniste per l’annessione all’Austria, mentre in Trentino prevaleva la richiesta di un’autonomia speciale per l’intera Regione basata sulle secolari tradizioni locali di autogoverno. La stessa Austria, devastata dall’occupazione nazista, cercò come compenso di riottenere il territorio del Trentino-Alto Adige, ma la richiesta non venne accettata dagli Alleati. La questione altoatesina si trovava sulla scena internazionale: per tentare di consolidarne il delicato equilibrio il neoeletto Presidente del Consiglio Alcide Degasperi, consapevole della difficile posizione italiana in quanto potenza sconfitta, raggiunse un’intesa con il Ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber per la tutela del gruppo linguistico tedesco dell’Alto Adige. Tale intesa, che porta il nome di Accordo Degasperi-Gruber, o Accordo di Parigi, sottoscritta il 5 settembre 1946 e parte integrante del Trattato di pace con l’Italia del 10 febbraio 1947, stabilì che la Provincia di Bolzano sarebbe rimasta all’Italia, prevedendo però per gli abitanti di lingua tedesca dell’intera regione apposite tutele. Introduceva infatti misure speciali volte ad assicurare lo sviluppo culturale, sociale ed economico della popolazione di lingua tedesca e concedeva a livello regionale un potere amministrativo e legislativo autonomo, estendendo l’autonomia anche al Trentino e consolidando così l’istanza autonomista trentina.
L’Accordo Degasperi-Gruber fu redatto originariamente in lingua inglese, venne poi inviato alla Conferenza di pace parigina ed inserito nel Trattato di pace come IV allegato; l’art. 90 del Trattato stabiliva l’autenticità dei soli testi in lingua inglese, francese e russa. Il testo dell’Accordo, tradotto in italiano, recita:
1 – Agli abitanti di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della Provincia di Trento saranno garantite una completa uguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca.
In conformità con le disposizioni legislative già in vigore o in procinto d’esserlo agli abitanti di lingua tedesca sarà specialmente concesso:
a) l’insegnamento primario e secondario nella loro lingua materna;
b) la parità delle lingue italiana e tedesca negli uffici pubblici e nei documenti ufficiali, nonché nelle denominazione topografica bilingue;
c) il diritto di ristabilire i cognomi tedeschi che sono stati italianizzati nel corso degli ultimi anni;
d) l’uguaglianza di diritti per ciò che concerne l’ammissione nelle pubbliche amministrazioni con lo scopo di raggiungere nell’impiego una proporzione più adeguata tra i due gruppi etnici.2 – È concesso alle popolazioni delle zone sopramenzionate l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo regionale autonomo. Il quadro nel quale queste disposizioni di autonomia saranno applicate verrà definito consultando anche i rappresentanti locali di lingua tedesca.
3 – Il governo italiano, con lo scopo di stabilire delle relazioni di buon vicinato tra l’Austria e l’Italia, s’impiegherà, in consultazione con il governo austriaco, e entro un anno a partire dalla firma del presente trattato:
a) a rivedere, con spirito di equità e con ampia comprensione, la questione delle opzioni di cittadinanza avvenute in seguito agli accordi Hitler-Mussolini del 1939;
b) a trovare un accordo di mutuo riconoscimento della validità di alcuni titoli di studio e diplomi universitari;
c) a stabilire una convenzione per la libera circolazione delle persone e dei beni tra il Tirolo del Nord e il Tirolo orientale, sia su ferrovia sia, nella misura più ampia possibile, per strada;
d) a concludere degli accordi speciali destinati a facilitare l’espansione del traffico di frontiera e degli scambi locali di determinate quantità di prodotti e merci caratteristiche tra l’Austria e l’Italia.Gruber Degasperi
5 settembre 1946
Veniva così creata la Regione autonoma Trentino-Alto Adige, che la neonata Repubblica previde nella Carta Costituzionale tra le Regioni autonome, dotata del primo Statuto speciale di autonomia, approvato nel 1948, che definiva i termini dell’autonomia, attribuendo ampie competenze alla Regione e competenze minori alle Province, ribadendo l’eguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dal gruppo linguistico di appartenenza e ristabilendo l’insegnamento del tedesco e la toponomastica bilingue. Tuttavia, mentre i trentini raggiungevano l’obiettivo di vedersi riconosciuta una speciale autonomia, sia pure in un quadro regionale, i sudtirolesi temevano che quella stessa dimensione regionale, nella quale risultavano in minoranza, avrebbe potuto inficiare la tutela della loro identità linguistica e culturale e le prerogative di autogoverno, che erano comunque loro garantite anche da un accordo internazionale.
In base allo Statuto i consiglieri regionali venivano eletti nei due collegi provinciali e nel 1948 si tennero le prime elezioni regionali: fino al 1955 il governo della Regione si basò, sia pure con alterne vicende e non di rado con tensioni e diffidenze reciproche, su un’intesa tra la Democrazia Cristiana trentina e la Südtiroler Volkspartei (SVP), il partito di riferimento della popolazione di lingua tedesca in Alto Adige. In un primo momento si scontrarono le rispettive diverse concezioni di autonomia, basate su una differente interpretazione dell’articolo 14 dello Statuto, relativo all’esercizio delle funzioni amministrative della Regione tramite loro delega alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali. Mentre la SVP riteneva che la Regione dovesse normalmente delegare le proprie competenze amministrative alle Province, assicurando quindi loro una maggiore autonomia, che avrebbe meglio tutelato la popolazione sudtirolese, la DC considerava gli istituti autonomistici più semplicemente come strumentali ad una buona amministrazione locale, e riteneva che le competenze amministrative dovessero regolarmente rimanere in capo alla Regione, che poteva delegarle ma entro determinati limiti. Nel 1957 la Consulta, dinanzi alla quale la questione era giunta a seguito dell’impugnazione da parte del governo nazionale di una legge regionale, diede un’interpretazione assai restrittiva dell’articolo 14, sostenendo che le funzioni amministrative dovessero rimanere nella titolarità della Regione, e che di conseguenza le Province fossero meri enti delegati, vincolati al rispetto delle direttive e alla vigilanza dell’ente regionale delegante.
Nel 1953 la stampa ed il clero di lingua tedesca si inserirono nella questione etnica, paventando una “marcia della morte” che sarebbe stata instaurata dal governo italiano ai danni della popolazione di lingua tedesca, con l’effetto di radicalizzare la politica altoatesina, preoccupata della sopravvivenza del gruppo etnico sudtirolese. Nel 1955 l’Austria, dopo aver sottoscritto con le potenze occupanti il Trattato di Stato col quale riotteneva la propria sovranità, pose la questione sudtirolese al centro della propria politica estera, sostenendo istanze rivendicazioniste ed evocando il diritto all’autodeterminazione per il Sudtirolo; l’anno successivo l’Austria inviò al governo italiano un Memorandum, nel quale sosteneva che non tutte le disposizioni dell’Accordo di Parigi erano state attuate, chiedendo a tal proposito l’istituzione di una commissione mista italo-austriaca. La risposta del governo italiano nel 1957 respinse le accuse austriache di inadempimento e accettò ulteriori misure a favore della minoranza tedesca, a condizione che le trattative si svolgessero per le normali vie diplomatiche tra Stati e dunque senza l’intervento diretto dei sudtirolesi.
La progressiva radicalizzazione delle reciproche posizioni portò, a partire dal 1956, a diversi attentati dinamitardi che progressivamente si moltiplicarono in tutto l’Alto Adige, mentre la nuova classe dirigente della SVP rivendicò nuovamente la volontà di un’autonomia integralmente provinciale, espressa da Silvius Magnago nello slogan “Los Von Trient” (via da Trento) pronunciato nella manifestazione a Castel Firmiano del 17 novembre 1957, nella quale il presidente della SVP davanti a 30 mila altoatesini protestava per l’incremento della presenza italiana in Alto Adige e si appellava all’Austria affinché si impegnasse anch’essa per il riconoscimento al Sudtirolo di un’autonomia come Regione a sé stante. Nel 1959 il Ministro degli Esteri austriaco dichiarò all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che l’Italia non aveva dato integrale applicazione all’accordo Degasperi–Gruber, dichiarandosi pronto a sottoporre la questione all’ONU; nello stesso anno in Alto Adige, occasione dei festeggiamenti per l’anniversario della rivolta tirolese contro le truppe napoleoniche, varie personalità austriache incitarono il popolo sudtirolese a combattere per raggiungere autogoverno e libertà. Nel 1960 la questione altoatesina venne iscritta all’ordine del giorno dell’Assemblea Generale dell’ONU su proposta dell’Austria, che identificava la popolazione altoatesina come una minoranza austriaca in Italia, a sostegno di una possibile rivendicazione territoriale; l’ONU, con una risoluzione approvata all’unanimità, accolse però le tesi italiane invitando le parti italiana ed austriaca a riprendere i negoziati per trovare una soluzione conciliativa.
A partire dal 1961 si intensificarono gli attentati, messi in atto da organizzazioni clandestine dietro alle quali sembrava emergere anche un sostegno austriaco, con l’obiettivo della restituzione del Sudtirolo all’Austria. In quell’anno nella notte del Sacro Cuore, una ricorrenza altoatesina, si verificarono numerose esplosioni in Provincia di Bolzano: furono danneggiate linee ferroviarie, abbattuti tralicci dell’alta tensione per un totale di una cinquantina di attentati che causarono anche un morto. Quella notte, conosciuta come “la notte dei fuochi” determinò nei giorni a seguire la quasi totale militarizzazione dell’Alto Adige: furono inviati vari battaglioni, fu imposta una sorta di coprifuoco ed i soldati ebbero l’ordine di sparare contro chiunque non si fermasse all’alt. Gli attentati si diffusero anche in Lombardia e nel basso Trentino, deteriorando ulteriormente i rapporti tra Italia e Austria.
Il clima era di forte tensione, non solo a livello nazionale ma anche internazionale: su proposta dell’allora ministro dell’interno Scelba venne costituita una commissione (nota come “Commissione dei 19”, per via del numero dei suoi componenti), che operò dal 1961 al 1964, composta da rappresentanti dello Stato, della Regione, delle Province di Trento e Bolzano e dei gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino, presieduta dall’on. Paolo Rossi, che aveva il compito di valutare tutte le istanze ancora in sospeso della questione altoatesina, per formulare delle proposte di possibile soluzione. Una delle prime questioni che venne affrontata fu quella scolastica: la salvaguardia dell’identità linguistica della minoranza di lingua tedesca richiedeva l’insegnamento del tedesco sin dalle scuole primarie. L’istruzione aveva insomma un’importanza fondamentale per la tutela del patrimoni linguistico e culturale, ma per poter esplicare pienamente tale ruolo necessitava di vedersi riconosciuta una reale autonomia rispetto alle previsioni statali: in sostanza il governo locale doveva essere dotato di concrete prerogative di autogoverno in materia di istruzione, istituti e personale scolastico, programmi di insegnamento. A tutela del patrimonio linguistico-culturale tedesco veniva inoltre prevista la parificazione della lingua tedesca a quella italiana, lingua ufficiale dello Stato, nella pubblica amministrazione, negli atti ufficiali e nella toponomastica. Vennero inoltre concordate forme di tutela della minoranza di lingua tedesca sia per quanto riguarda la distribuzione degli impieghi pubblici sia per i diritti elettorali.
Con riferimento all’ordinamento autonomistico, la Volkspartei richiedeva una piena autonomia per l’Alto Adige mentre la componente di lingua italiana voleva mantenere l’unità politico-geografica della Regione; i rappresentanti della SVP proposero quindi l’istituzione di due Regioni, entrambe autonome, ciascuna con proprie competenze legislativo-amministrative e finanziarie: quella del Tirolo del sud – l’Alto Adige – e quella del Trentino. Un’apposita sottocommissione per l’ordinamento autonomistico propose quindi una sorta di compromesso, mantenendo l’unità della Regione ed ampliando i poteri delle due Province mediante la devoluzione di varie competenze legislative. La Commissione dei 19 riuscì in tal modo a garantire, prevedendo la partecipazione di tutti i gruppi linguistici alla gestione dell’autonomia, la parità dei rispettivi diritti ed un nuovo modello di ripartizione delle competenze tra Province e Regione, ponendo così le basi per il secondo Statuto di autonomia, che sarebbe stato approvato solo nel 1972.
Nel frattempo le cellule responsabili degli attentati, ormai divenute organizzazioni di estrema destra, a partire dal 1964 mutarono progressivamente tattiche e obiettivi, puntando alle stragi e provocando diversi morti, specialmente tra le forze dell’ordine, mentre a livello internazionale, nonostante i tentativi di intesa tra Italia ed Austria (esemplificati dal cd. “Pacchetto Saragat-Kreisky”, accordo in base al quale l’Italia avrebbe dovuto attuare una serie di strumenti – buona parte dei quali previsti dalla Commissione dei 19 – a tutela della minoranza di lingua tedesca, mentre l’Austria avrebbe rilasciato una “quietanza liberatoria” a fronte dell’adozione di tali misure da parte del governo italiano) la situazione rimaneva essenzialmente di stallo anche a causa degli attentati, che avevano determinato terribili fatti di sangue (come la strage di Malga Sasso, o quella di Cima Vallona) e puntavano a sabotare ogni possibilità di intesa. Nel 1966 il Presidente del Consiglio Moro, durante un dibattito in Parlamento, in merito alla questione altoatesina ribadì la necessità di tutelare i gruppi linguistici di minoranza, di riconoscere uguali diritti tra tutti i cittadini e la pariteticità tra le Province di Trento e Bolzano nel progressivo trasferimento ad esse delle competenze da parte della Regione. L’anno successivo, vista l’atteggiamento del governo di Vienna nei confronti degli attentati in Alto Adige, l’Italia decise di porre il veto all’ingresso dell’Austria nelle Comunità europee, fino a quando non avesse adottato efficaci misure di contrasto.
Gli incontri a livello nazionale ed internazionale si fecero progressivamente più intensi, operando a tre livelli: le trattative diplomatiche fra il governo italiano e quello austriaco, i negoziati tra sudtirolesi e governo italiano ed i colloqui fra sudtirolesi e governo austriaco. Nel 1969 Italia ed Austria riuscirono finalmente a predisporre un “Calendario operativo”, cioè un accordo procedurale costituito da 18 punti sull’itinerario da seguire per la realizzazione del “Pacchetto di misure a favore delle popolazioni altoatesine”; tale calendario prevedeva un complesso di attività da attuarsi parallelamente da parte di Italia ed Austria e garantiva il reciproco rispetto degli accordi presi (dal momento che ciascuno Stato poteva interrompere l’adempimento degli obblighi assunti se la controparte non avesse regolarmente ottemperato ai propri) allo scopo di risolvere la vertenza altoatesina. Il “Calendario operativo” ha costituito fino al 1992, col rilascio della quietanza austriaca, l’ancoraggio internazionale a salvaguardia della minoranza di lingua tedesca altoatesina, cioè una sorta di garanzia sovranazionale in merito agli atti adottati dal governo italiano in attuazione degli accordi sottoscritti con l’Austria. Ora, dopo la chiusura della controversia, l’ancoraggio internazionale è costituito dalla possibilità per l’Austria di ricorrere alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, nel caso di violazioni italiane agli accordi sottoscritti.
Il “Pacchetto” era costituito da 137 misure a favore delle popolazioni altoatesine: fu approvato nel 1969 sia dal Parlamento italiano che da quello austriaco e la sua attuazione doveva avvenire secondo l’iter scandito dal “Calendario operativo”. Pacchetto e Calendario venivano insomma a costituire un sistema complessivo, l’uno sostanziale e l’altro procedurale, basato per buona parte sulle conclusioni della Commissione dei 19. L’attuazione delle varie misure previste dal Pacchetto però si rivelò meno semplice di quanto previsto, dal momento che la loro introduzione richiedeva modifiche o integrazioni dello Statuto nonché nuove leggi e provvedimenti amministrativi. Il provvedimento attuativo più rilevante fu quello avente ad oggetto la modifica dello Statuto di autonomia, con la devoluzione delle competenze dalla Regione alle due Province, l’attribuzione ad esse di entrate erariali in base alle nuove competenze provinciali, il riconoscimento alle Province della legittimazione ad impugnare leggi dello Stato o a sollevare conflitti di attribuzioni dinanzi alla Consulta. Il principio dell’assoluta pariteticità tra la Provincia di Trento e quella di Bolzano nel trasferimento dei poteri e delle competenze fu ufficialmente affermato dal Presidente del Consiglio Moro in occasione di due dibattiti parlamentari. Le due Province autonome venivano di fatto considerate come due Regioni vere e proprie, nella cornice di una Regione unitaria quasi completamente svuotata di competenze. L’autonomia riconosciuta al Trentino non aveva la funzione di riequilibrare le prerogative di autogoverno concesse alla Provincia di Bolzano, ma trovava il suo fondamento nella vocazione autonomista storicamente consolidata di quel territorio, nei legami culturali e nelle vicende storiche comuni che da secoli univano Trento e Bolzano, ed infine nel complesso e fecondo dialogo tra le culture autonomistiche trentina e sudtirolese che ha definito i tratti dell’attuale struttura istituzionale.
Il disegno di legge costituzionale contenente le modificazioni e le integrazioni al primo Statuto speciale per il Trentino–Alto Adige/Südtirol fu predisposto da un apposito comitato (il “Comitato dei 9”); il nuovo Statuto di autonomia venne approvato definitivamente con legge costituzionale 1/1971 ed il Testo unico (contenente le norme ancora valide del vecchio Statuto, nonché quelle introdotte con il nuovo Statuto) entrò in vigore il 31 agosto 1972 con il D.P.R. 670. Per elaborare le norme di attuazione del nuovo Statuto, necessarie per assicurare l’efficacia delle nuove previsioni e per il trasferimento alle Province dei poteri e dei beni indispensabili all’autogoverno, venne istituita un’apposita commissione paritetica tra Stato ed istituzioni autonomistiche, la Commissione dei 12, all’interno della quale venne nominata un’apposita Commissione dei 6 col compito di predisporre le norme di attuazione esclusivamente per la Provincia di Bolzano. Già dalla fine degli anni ’70 le norme di attuazione elaborate dalle Commissioni coprivano quasi interamente le aree di competenza previste dal nuovo Statuto, anche se i loro lavori sarebbero proseguiti sino al 1992, quando il complesso delle norme d’attuazione ormai predisposte avrebbe dato il via al rilascio della quietanza austriaca. Tra le varie norme di attuazione, nel 1976 furono promulgate quelle relative alla proporzionale etnica, cioè relative ai criteri da utilizzare nella ripartizione di incarichi e uffici pubblici, contributi, case popolari, affinché fossero rispettate delle quote etniche e quelle sul bilinguismo, necessario per accedere a pubblici impieghi, vista la società bilingue altoatesina che era ormai fondata sulla parificazione tra l’italiano ed il tedesco.
Una delle modifiche più importanti dello Statuto venne introdotta con la legge statale 386/89, relativa al coordinamento della finanza della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province di Trento e Bolzano con la riforma tributaria, con cui si attribuivano alle Province nuove e più ampie competenze tributarie e facoltà di imposizione fiscale; si disciplinavano inoltre la ripartizione dei tributi erariali ed i finanziamenti statali aggiuntivi. Le Province autonome si vedevano così riconosciute prerogative in materia di finanza locale ed una potestà impositiva nelle materie di loro competenza. Particolarmente significativo per l’autonomia finanziaria fu anche il decreto legislativo 268/92, relativo alla disponibilità e alle modalità di utilizzo delle risorse finanziarie, presupposti necessari per una concreta autonomia istituzionale. Nel 1992 l’Italia concluse l’adozione di tutte le misure previste nel Pacchetto: inviò una nota formale all’Austria che rilasciò la “quietanza liberatoria” al Segretario generale delle Nazioni Unite, chiudendo finalmente l’annosa controversia.