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Caratteristiche e limiti dell’autonomia finanziaria delle Province autonome

Premesse

Un effettivo esercizio dell’autogoverno presuppone una dotazione finanziaria che consenta l’attuazione da parte degli enti ad autonomia differenziata delle prerogative loro attribuite. Dal momento che queste prerogative sono più ampie rispetto a quelle delle Regioni ordinarie, e non sono finanziate dallo Stato ma dall’ente locale cui sono conferite, una disponibilità di risorse insufficiente impedirebbe l’esercizio delle competenze amministrative e legislative assegnate e renderebbe insostenibile la fornitura dei relativi servizi pubblici ai cittadini.

Oltre a dotazioni economiche congrue in rapporto alle maggiori competenze attribuite, l’amministrazione degli enti autonomi deve poter disporre di un adeguato margine di libertà in merito alla destinazione e all’utilizzo delle risorse finanziarie nell’esercizio delle proprie politiche di governo. Per quanto concerne le Province di Trento e Bolzano, dal momento che in base al primo Statuto di autonomia del 1948 le maggiori competenze facevano capo alla Regione autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol, era quest’ultima che si vedeva riconosciute le maggiori dotazioni finanziarie. Le due Province (allora non autonome) disponevano di limitate risorse e dipendevano finanziariamente dalla Regione e dallo Stato centrale. Col nuovo Statuto del 1972 la maggior parte delle competenze è stata trasferita alle Province, e coerentemente la disciplina complessiva è stato aggiornata prevedendo un ampliamento della dotazione finanziaria di ciascuna Provincia ed una corrispondente riduzione di quella regionale: le Province non dipendevano più dalla Regione ma dallo Stato, sulla base di un finanziamento di tipo derivato. Più precisamente, la dotazione finanziaria complessiva di ciascuna Provincia si basava sulla partecipazione alle entrate tributarie complessive, costituite da imposte e tasse erariali, percepite nel territorio della Provincia stessa. La quota di questa partecipazione in parte era stabilita dallo Statuto (la cd. quota fissa), in parte veniva annualmente concordata tra Provincia e governo nazionale (cd. quota variabile).

A seguito della riforma tributaria statale del 1971, che portò alla soppressione di vari tributi previsti nello Statuto, e provvedendo progressivamente all’attuazione delle disposizioni statutarie in conformità alle nuove competenze attribuite, un’importante fonte di entrate delle Province divenne la quota variabile, che in base all’art. 78 dello Statuto doveva “adeguare le finanze delle Province autonome al raggiungimento delle finalità e all’esercizio delle funzioni stabilite dalla legge”. Tale quota variabile divenne col tempo uno strumento per colmare a posteriori eventuali lacune finanziarie del bilancio provinciale, e le trattative sulla quota variabile in più occasioni determinarono tensioni col governo nazionale e carenze finanziarie a livello provinciale, rendendo necessario un riordinamento generale del sistema di finanziamento delle Province, che si tradusse nella legge statale 386/89 contenente “Norme per il coordinamento della finanza della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e Bolzano con la riforma tributaria”. Inoltre, nell’ultimo insieme di norme attuative delle misure previste nel “Pacchetto”, determinate dal fatto che la regolamentazione dello Statuto in materia finanziaria risultava a tratti generica e necessaria di specificazione, furono inserite anche quelle di natura finanziaria col decreto legislativo 268/92, in seguito integrato dal decreto legislativo 432/96.

Quota fissa e quota variabile

Alla Provincia di Trento (lo stesso valeva per quella di Bolzano) era così devoluto – sia in quota fissa che variabile e senza vincolo di destinazione (cioè gli enti erano liberi di stabilire come utilizzare tali risorse) – quasi l’intero gettito locale della maggior parte dei tributi statali, quindi le competenze provinciali erano finanziate principalmente con la compartecipazione della Provincia al gettito locale delle imposte e delle tasse erariali. Più precisamente, dopo la riforma del 1989 circa l’85% delle entrate provinciali basate sulla compartecipazione a tributi erariali veniva devoluto in quota fissa, il restante 15% in quota variabile, e questo 15% circa del finanziamento statale era oggetto annualmente di trattativa tra Province e governo nazionale. La devoluzione in quota variabile era prevista dall’art. 78 dello Statuto, articolo abrogato dalla legge 191/2009 (legge finanziaria 2010) nel solco del percorso tracciato dalla legge 42/2009 che prevedeva una delega al governo nazionale in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 Cost. (così come modificato dalla legge costituzionale 3/2001).

A seguito delle modifiche introdotte con l’accordo di Milano del 2009 l’attuale modello finanziario non si basa più su una separazione tra quote fisse e variabili. Abolite queste ultime, si dice convenzionalmente che alle Province sono devoluti i 9/10 del gettito fiscale prodotto sul territorio provinciale. In realtà la frazione dei 9/10 è un arrotondamento: le varie quote fisse sono infatti attualmente previste dagli artt. 69, 70, 71 e 75 dello Statuto, le cui determinazioni vanno lette in combinazione con gli artt. 75 bis e 79 per un quadro complessivo della disciplina e dei limiti del finanziamento provinciale. Dal momento che il contenuto degli articoli citati è stato determinato sulla base delle pattuizioni tra Province e governo nazionale che costituiscono l’accordo di Milano ed il recente “patto di garanzia” del 15 ottobre 2014, per il dettaglio della complessiva regolamentazione vigente si rinvia alle rispettive sezioni.

Il modello federalista

A seguito delle modifiche disposte dalla legge costituzionale 1/2012, relativa all’Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale l’art. 119 Cost. attua nell’ordinamento italiano un modello federalista per la finanza degli enti territoriali decentrati, prevedendo che gli enti locali (Regioni, Comuni, Province, Città metropolitane) abbiano autonomia finanziaria di entrata e di spesa nel rispetto dell’equilibrio dei rispettivi bilanci e concorrendo al rispetto dei vincoli economico-finanziari europei. Gli enti locali hanno insomma risorse autonome e, nel rispetto dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri e compartecipano al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. Tali risorse consentono agli enti locali di finanziare le funzioni pubbliche loro attribuite, mentre lo Stato destina ad alcuni di essi risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali per “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici e sociali”; lo Stato istituisce inoltre un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Gli enti locali possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare degli investimenti, definendo contestualmente piani di ammortamento e rispettando l’equilibrio di bilancio; è esclusa in ogni caso la garanzia dello Stato sui prestiti contratti dagli enti locali.

Per quanto riguarda le autonomie speciali, la legge statale 42/2009 ha previsto che il coordinamento degli Statuti con i nuovi principi costituzionali avvenisse con le modalità definite nei singoli Statuti. Naturalmente anche le Province autonome di Trento e di Bolzano devono concorrere “al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario”. Anche questo è stato uno dei motivi che hanno determinato una profonda revisione dell’ordinamento finanziario dell’autonomia speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol, attuata altresì con lo scopo di recuperare lo spirito originario dello Statuto, che individuava nelle devoluzioni di tributi erariali in quota fissa la garanzia per una salda autonomia finanziaria, volendo contenere al minimo i margini di incertezza legati alle procedure di definizione di talune quote, quali la quota variabile o la ripartizione di trasferimenti statali previsti per la generalità del territorio italiano.